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la leggenda delle oche capitoline

Campidoglio – La leggenda delle oche capitoline

La leggenda delle oche del Campidoglio fa parte della storia di Roma.

La tradizione racconta che tutto accadde intorno al 390 a.C. A quei tempi, il colle del Campidoglio era occupato da un tempio dedicato alla dea Giunone, che ospitava una serie di oche. Le oche erano animali sacri alla dea e per questo ritenuti intoccabili.

I Galli del condottiero Brenno assediavano Roma e cercavano un modo per penetrare nel colle. Qui si erano rifugiati i romani che non erano fuggiti verso le città di Veio e di Caere all’arrivo degli assalitori. L’unica loro speranza era il generale romano Marco Furio Camillo, che però era in esilio ad Ardea a causa delle sue posizioni anti-plebee.

Ma una notte, il conflitto giunse ad una svolta. Un messaggero, mandato dai romani di Veio prima a Roma e poi ad Ardea per richiamare proprio il generale, riuscì ad accedere al Campidoglio nonostante l’assedio. I Galli allora colsero l’occasione al volo, lo seguirono e nottetempo entrarono anche loro.

La leggenda sostiene che le oche, unici animali superstiti alla fame degli assediati perché sacri a Giunone, cominciarono a starnazzare rumorosamente. Così facendo avvertirono del pericolo l’ex Console Marco Manlio e i romani assediati, che respinsero il nemico. Per la sua azione eroica, Marco Manlio venne successivamente denominato Capitolino.

L’assedio respinto e l’imminente arrivo di Marco Furio Camillo bastò per ribaltare le sorti della guerra a favore dei romani: i Galli cominciarono a subire le prime sconfitte mentre l’esercito del condottiero avanzava da Ardea. Gli assedianti cercarono quindi un compromesso: a fronte di un tributo pari a mille libbre d’oro, questi avrebbero tolto l’assedio. I romani, al momento di pagare, si accorsero che le bilance erano truccate e, alle loro rimostranze, Brenno, in gesto di sfida, aggiunse la sua spada alla bilancia pretendendo un maggiore peso d’oro e pronunciò la frase «Vae victis!» («Guai ai vinti!»).

Qui la tradizione narra un secondo episodio leggendario: mentre i romani chiedevano tempo per procurarsi l’oro che mancava, Camillo raggiunse Roma con il suo esercito. Una volta di fronte a Brenno, gli mostrò la sua spada e gli urlò in faccia: «Non auro, sed ferro, recuperanda est patria» (“Non con l’oro, ma con il ferro, si riscatta la patria”).

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